LA MORTE DI KENNEDY DA 30 ANNI AL CINEMA DOPO IL SILENZIO INIZIALE
di Avv. Tommaso Rossi (Studio Legale Associato Rossi-Papa-Copparoni)
Per quasi venti anni dopo l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy fu lo shock: il silenzio muto e rumoroso di un Paese intero che aveva perso il fiato, e con esso i sogni. Il futuro.
Poi il cinema americano ruppe il velo ed trovò il coraggio di parlare di quella pagina così triste del passato, e di un futuro mai stato, degli Stati Uniti. La morte del Presidente più amato cerca le sue risposte al cinema, le mille teorie che affollano le menti più fantasiose degli americani. Complotti, ricordi, storia e futuro si mischiano nelle scene di un film, di mille film, che cercano di ricostruire una realtà che non c’è stata e mai ci sarà.
La Storia degli Stati Uniti con JFK, la storia del mondo con JFK. E la storia di un momento, un attimo, il gesto di un folle o un folle disegno che proveniva dall’alto. Da chi sa dove, servizi segreti, stati esteri, Russia, Cuba o soltanto uno squilibrato?
Il primo a parlarne fu Brian DE Palma, “Ciao America”, anno 1968. La ferita sanguinava ancora, e non si parlava ancora espressamente delle vicende storiche legate all’assassinio di JFK, ma si racconta come quei fatti condizionarono una generazione di americani attraverso la storia di tre amici in attesa di partire per il Vietnam.
Pochi anni dopo è la volta di Alan J. Pakula, e il suo film “Perché un assassinio” del 1974, dove si racconta la vicenda di un giornalista interpretato da Warren Beatty che indaga sulla morte di un senatore e scopre l’esistenza di una società segreta – la Parallax Corporation – che recluta criminali programmati per compiere attentati politici. E’ l’incubo del dopo Dallas che si materializza in un film dall’atmosfera cupa ma di certo non un capolavoro.
Il 22 aprile 1964, cioè sei mesi dopo i fatti di Dallas esce “The Trial of Lee Harvey Oswald”, dove si immagina il processo a Oswald, ucciso invece pochi mesi dopo i fatti. Il film, diretto da Larry Buchanan e con Charles Mazyrack nel ruolo di Oswald, racconta del processo a Oswald: 23 testimoni per un verdetto che non arrivò mai.
In Italia, nel 1969, fu Gianni Bisiach, storico inviato del programma TV7, che convinse il produttore Angelo Rizzoli a finanziare un film inchiesta su John e Robert Kennedy, morto a sua volta il 6 giugno 1968: “I Due Kennedy” ripercorre le tappe e le ragioni che legittimano tante tesi complottiste dietro la morte die due Kennedy. Ambienti dell’industria petrolifera, gruppi razzisti, anti -castristi e ambienti mafiosi legati al sindacalista assai controverso Hoffa.
Il velo di Maya fu definitivamente scoperchiato, per gli americani, soltanto nel 1991 da Oliver Stone, che sparò a zero sulla commissione Warren- che doveva ricostruire responsabilità e motivi dell’omicidio di JFK- aveva fallito il suo compito. Per Oliver Stone fu un fallimento annunciato, non casuale, pilotato da Lindon Johnson attraverso la Cia. Il protagonista della pellicola è il procuratore distrettuale di New Orleans Jim Garrison, magistralmente interpretato da Kevin Costner, che contro tutto e tutti si batté per riaprire il caso, per provare a svelare ciò che molti americani pensano. Cioè che l’omicidio di John F. Kennedy non fu frutto della mente pazza di uno squilibrato come Oswald, ma di un ben preciso disegno politico.
Seguirono anni di nuovo silenzio dopo la tempesta scatenata da Stone. E fu poi la volta di due documentari prodotti da National Geographic: “Quel giorno a Dallas” e “L’ultimo mistero”. Il primo è frutto di un minuzioso collage di immagini girate da decine di operatori televisivi e privati nel momento del fatto e subito dopo, e i contributi audiofonici registrati in quei drammatici momenti. Nell’”Ultimo mistero” sono analizzate le immagini scansionate delle riprese effettuate a Dallas il giorno dell’assassinio del presidente Kennedy.
Tante domande, nessuna risposta per uno grande schermo che è troppo piccolo per dare la luce ad uno dei più grandi e sabbiosi misteri della storia a stelle e strisce.