The Circle, la recensione

di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)

Una protagonista debole per una storia distopica fiacca. Per The Circle l’abito non basta

emma-watson

La condivisione oggi è tutto, se non sei nella rete rischi di essere emarginato, fuori da ciò che la consuetudine sociale considera normale. Quante volte negli ultimi anni vi siete sentite dire da un amico o familiare “ma ti ho un mandato un messaggio in chat, non l’hai letto?!” partendo dal presupposto che per il solo fatto di avere un app o di essere su un social network derivi la nostra presenza costante ad ogni notifica.

Su questo assunto si basa The Circle, thriller digitale basato sul celebre ed omonimo romanzo di Dave Eggers. The Circle è più di un azienda, è un colosso ibrido della comunicazione tecnologia e social che mira a fare della trasparenza digitale un valore, uno stile, un modo di vivere, classificando come ingombrante se non persino egoista e ipocrita ogni tentativo di tutelare la privacy.
Mae Holland
, interpretata da Emma Watson, da poco assunta a The Circle è elettrizzata e al tempo stesso cauta sulle potenzialità di un approccio totalitario alla tecnologia, ben presto però grazie all’investitura di uno dei responsabili di The Circle Eamon Bailey (Tom Hanks) abbraccerà il credo della condivisione totale per far dell’idea The Circle non più uno strumento ma un soggetto necessario a tutta la società.

La comunità di The Circle è rappresentata da un grande centro, una sorta di pentagono asettico dove vi è  persino una panetteria, insomma un microcosmo indipendente dal mondo esterno. Ineccepibile nella confezione architettonica di un habitat perfetto e apparentemente protettivo The Circle un po’ come il recente avventure-thriller spaziale  Passengers punta molto su un aspetto estetico accattivante, sviluppando l’intreccio narrativo sotto forma di gioco, di una sfida tecnologica alle esigenze della società. Nel farlo apre diversi bug al suo interno: la figura misteriosa di uno dei fondatori della compagnia se in un primo momento fa credere che diventerà cruciale viene completamente abbandonata nel secondo atto.

Ed è un peccato perché proprio le figure secondarie come anche l’amica di Mae, da più tempo nell’azienda, potevano essere sfruttate per ampliare l’orizzonte, scavare nel profondo di un’idea totalizzante di controllo tecnologico imposto al mondo che finisce per mostrarsi più per il suo vestito che nella sostanza delle sue motivazioni e ripercussioni.

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