Too much too Boohoos, leggenda da leggere

UN LIBRO SULLA GARAGE BAND ANNI ‘80

xFed copertina libroBoohoos– PESARO – di Enrico Vianelli e Giampaolo Milzi – I Boohoos. A pochi, probabilmente, questo nome dice qualcosa. Una rock band di provincia, nata a Pesaro, attiva negli anni ’80. Che all’epoca pareva essere atterrata da un altro pianeta, perché suonava glam garage rock psichedelico. Perché fu tra quelle pioniere nel rilanciare le dimenticate sonorità dei formidabili anni ’60. Da band di nicchia a band di culto. Come tante altre formazioni che oltre 30 anni fa, un po’ in tutta Italia e nel mondo, furono colte dalla recrudescenza delle febbre per i “sixties”. Roberto Russo, in arte “eZeKing”, membro fondatore dei Boohoos, quella loro avventura musicale durata appena un lustro ce l’ha impressa nel cuore. Lo abbiamo incontrato, assieme al cantante Alex, al chitarrista The Mighty Fuss – membri storici dell’ensemble col bassista Adov Stone e il batterista Pantera – il 30 ottobre scorso ad Ancona, durante la presentazione del libro “Too much too boohoos – La leggenda anni ’80 della mia band venuta da Marte”, firmato da Russo, svoltasi al circolo Hangover e coronata da un loro live set acustico. Un libro in cui Russo racconta tutto il fenomeno underground che ha vissuto sulla sua pelle. E’ un fiume in piena Roberto, e lo stile che adotta è lo stesso che anima autori di libri che hanno macinato rock e lo hanno descritto (ricordiamo “Costretti a sanguinare” di Philopat, tra gli animatori del csa Virus di Milano, e “Come se nulla fosse” di Roberto “Perci” Perciballi, cantante dei Bloody Riot). Già, il rock, un genere insofferente alle regole, ma che segue un suo ordine, pirotecnico, diretto e crudo. Le pagine della prima parte del libro raccontano la mistica della nascita, nel 1985, di una band di trogloditi (come li definisce Russo) carichi di rock, appunto. E ciò, anche in quegli anni, significava essere carichi di veleno, disagio, ma anche di idee. Varie le influenze che hanno animato i Boohoos: da Elvis (il Re!), al Detroit Sound dei Sonics e degli Stooges, dai Velvet Underground agli Who, da Marc Bolan e i suoi T.Rex, a Ziggy Stardust (alias Bowie) coi suoi Ragni di Marte, fino ai Cult. E se aggiungiamo a questa miscela esplosiva letture maledette (Nietzsche, Baudelaire, Bukowsky) e l’opera di registi come Kubrik il gioco è fatto. E poi quella presenza occulta, inquietante e immaginifica che i Boohoos percepivano come sorta di guida maledetta ispiratrice di successo e chiamavano “The Hoo”. La storia che si dipana sui fogli di “Too much to Boohoos” è lastricata di amicizie, conoscenze fatali, disseminata di incontri fatidici che hanno impregnato la rabbia di ragazzi giovanissimi, assetati di libertà e di voglia di emergere da un mondo sempre più standardizzato e standardizzante. Inoltre tanti concerti e backstage infuocati, alcool a go go, ragazze, strumenti rotti sotto i palchi… Da tutto ciò nascevano, quasi da sole, in modo spontaneo, le canzoni. Tastiere, chitarre e testi (questi ultimi riportati nel libro) si rivelavano i mezzi giusti grazie ai quali i Boohoos riuscivano in parte a liberarsi, metabolizzandoli, dai loro demoni interiori pregni di testosterone (“…Tutto il mondo è adesso un oceano di testosterone, dove è aperta la caccia alla satisfaction in tutte le sue forme.”).

Nella successiva parte del libro l’inattesa sparizione dello spirito guida “The Hoo”, spinse i Boohoos verso una lenta ma inserorabile deriva di autodistruttività. Eppure i cambi di formazione e di management, la vita bohemienne, il modo di vivere borderline resero questa seconda fase dell’avventura-disavventura Boohoos quella di maggior successo di pubblico e critica. Proprio mentre il gruppo era sempre meno gruppo, i rapporti tra i componenti divenivano sempre più tesi. Inesorabile la parabola discendente, fino allo scioglimento, alla fine dei Boohoos nel 1989. La loro eredità vinilitica è composta dall’ep d’esordio “Bloody Mary” e da tre Lp. L’ultimo, “Rock for real”, è stato poi ristampato in Cd, così come in Cd è uscito “Here comes the Hoo”, raccolta dei brani dei primi tre dischi.

L’astro di quei “glamorous boys” squarciò il muro fatto di Tg, pubblicità e partiti politici dell’Italia edonista degli anni ’80; anni lontani, ma non così tanto. Abbiamo ancora bisogno di Boohoos. Un desiderio che sarà appagato dal loro prossimo ritorno sul palco in versione più che mai elettrica.

(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

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