Tra nazionalismi e multiculturalismo in un’intervista a Bogdan Bogdanovic

L’EUROPA TRA NUOVI EUROPEI E  MILLE NAZIONALISMI

di Tommaso Cassiani

Bogdan_Bogdanovic_by_Marko_KrojacIl nazionalismo è storicamente collante e condanna delle popolazioni balcaniche.

Da sempre situate in terre di confine, le nazioni appartenenti alla moderna Europa Sud-orientale sopravvissero attraverso una coesione societaria basata sull’identità nazionale, che viene tuttoggi nutrita di stereotipi e fomentata da ricorrenti riti laici quali gli eventi sportivi o le competizioni canore continentali.

Intendiamoci: particolarismi ne esistono ovunque, ma il nazionalismo balcanico è eccezionalmente pericoloso in quanto si è negli anni tramutato nella matrice identitaria principale per popolazioni intere, che mettendolo in discussione e quindi perdendolo rinuncerebbero a una grossa parte del loro essere.

Eppure, i più grandi critici di questo fenomeno non sono europei illuminati, ma sono nati invece a Zagabria, Belgrado, Lubiana.

Uno fra questi è il rimpianto ex sindaco della capitale serba, Bogdan Bogdanovic, di cui sono da poco venuto in possesso di un’intervista ancora inedita in Italia.

Bogdanovic è stato uno dei principali architetti della Jugoslavia titina, e le sue sculture surreali hanno travalicato i canoni socialisti creando nuovi percorsi artistici. Allo stesso modo, la sua acuta intelligenza non si è mai conformata alle regole prestabilite, facendone uno sgradito ospite della Serbia di Milosevic, che dopo averlo demonizzato lo ha portato a scegliere l’esilio a Vienna – dove si è spento nel 2010, due anni dopo questa intervista.

L’Europa ha oggi dei nuovi Europei. Ci sono Rumeni e Bulgari, presto arriveranno anche i popoli dei Balcani sudorientali. Tutti vogliono essere europei, ma questo impone un compromesso con le vecchie ideologie e con la memoria nazionale, e io mi chiedo se questi nuovi Europei saranno disposti a compierlo.”

Per Bogdanovic l’Europa del futuro sarà un Europa delle Città, portatrice di due caratteristiche degli agglomerati urbani assenti nelle campagne : sarà infatti altamente urbanizzata e di conseguenza, in virtù dei continui incontri tra diversità che una città porta naturalmente ad avere, sarà anche fortemente multiculturale.

Belgrado è una città geograficamente benedetta dagli dei, situata in un punto d’incontro naturale alla confluenza di cinque grandi fiumi. Se guardate la mappa dell’Europa, una grande città è naturale che sorga in quel luogo. Ha le caratteristiche genetiche della città multiculturale, è stata prima Turca poi Austriaca, ha quasi due milioni di abitanti: eppure, è diventata una città uninazionale, dai connotati monoculturali. E questo porta a brutte conseguenze, oltre a non sfruttare il proprio potenziale.

Sarajevo aveva anch’essa un’anima europea, forse anche più europea di Belgrado essendo stata un secolo intero dentro l’Impero Austroungarico. Eppure, a seguito della disgregazione nazionalista della Jugoslavia, è diventata preda del patriottismo religioso, che ha etichettato dei culti sotto bandiere differenti – spesso senza lasciare spazio al dialogo tra essi. E’ qualcosa a cui la Jugoslavia non era abituata: il patriottismo jugoslavo era patriottismo multiculturale, la bellezza e ricchezza di quel Paese stavano nel multiculturalismo che rappresentava”.

Si comincia a intuire quanto la posizione di Bogdanovic fosse fastidiosa per il governo di Milosevic quando esprime la sua opinione sul Kosovo, regione alla base del culto nazionalista serbo: “La mia famiglia proviene dal Kosovo, questo devo specificarlo. Ma quando lasciò quella regione nel diciannovesimo secolo, lo fece vendendo a un buon prezzo le sue terre alla comunità albanese locale, non pensando di tornarci un giorno. E i Serbi tendono a dimenticare che quando il Kosovo era la culla del regno di Serbia, Belgrado era una città ungherese!

Da quel periodo in poi, la popolazione serba si è spostata a Nord, e non c’è nulla di tragico in tutto questo. L’unico problema è riguardo i monasteri ortodossi della zona: sono molto belli, e meriterebbero una soluzione internazionale del problema per essere preservati. Ma anche su questo punto è stato creato (dalla propaganda di Milosevic, nda) un vero culto su quegli edifici: da studente di architettura sono stato spesso a visitarli, e ne ho visti un gran numero: è vero che sono belli, ma niente più di questo.”

L’Europa sta già tentando una faticosa integrazione di quelli che Bogdanovic chiama i nuovi Europei, portatori delle varie culture di quello che una volta era il blocco dell’Europa dell’Est. Dovrà però presto confrontarsi anche con i nazionalismi croato, albanese e serbo – che al momento hanno appena varcato la soglia, o stanno bussando alla porta.

Ma ci sono ancora conversazioni impossibili da fare senza animosità nei Balcani. I giovani della mia generazione conoscevano svariate città, svariati punti di vista – mentre i giovani della Belgrado di oggi si stanno da pochissimo aprendo al mondo, dopo vent’anni di isolamento e propaganda nazionalista. E’ patologico ed anacronistico, ma c’è ancora un forte culto della gloria militare, declinato in tutte le sue forme moderne: sport, politica, competizioni internazionali.

La mia generazione, dopo aver attraversato quattro anni di occupazione nazista e tre di governi stalinisti, ha avuto bisogno di una decade per recuperare. Quanto tempo servirà a questa per uscire da vent’anni di nazionalismo cieco e controproducente.

Io sono un uomo del ventesimo secolo. L’ho visto, l’ho vissuto, eppure non riesco ancora a comprenderlo pienamente. E se mi chiedete cosa immagino dell’Europa del ventunesimo secolo, non so proprio prevederlo. So però che se i nuovi Europei non capiranno la vecchia Europa, non potranno mai davvero farne parte integrante, per cambiarla rendendola anche loro.

 

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