PER LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA, IL TRAFFICO DI ORGANI DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA VIENE RICONOSCIUTO DALLE AUTORITA’ MESSICANE, CHE NE AVEVANO FINORA NEGATO L’ESISTENZA
Di Mosè Tinti
In Messico, la paura c’era sempre stata (e c’è): una paura fondata non su leggende metropolitane nè su dicerie; una paura fondata sulle testimonianze, su quanto accadeva ed accade nella quotidianità di certi territori messicani dove vige la legge delle bande dei trafficanti. Di droga. E non solo.
Tuttavia, quello che veniva denunciato da attivisti finora è stato sempre bollato come fantasticheria e con una scrollata di spalle ed un sorriso ironico si cercava di risolvere il problema e restituire al mittente le denunce del traffico di organi umani. Le perplessità erano legate soprattutto alla improbabilità che bande criminali potessero disporre di strutture adeguate per l’asportazione ed il conseguente trasporto di organi.
Oggi, invece, emergono per la prima volta indizi concreti che avvalorano i sospetti sull’esistenza, in Messico, di una cosca dedita al traffico di organi umani, anche di bambini. Finalmente, le autorità di Michoacan, lo Stato del sudovest del Paese, diventato negli ultimi mesi epicentro della violenza criminale, hanno aperto un’inchiesta formale sul presunto traffico di organi.
I concreti sospetti sono maturati in seguito all’arresto, negli scorsi giorni, di due criminali nella città di Tarimbaro, dalle cui dichiarazioni sarebbero arrivati i primi elementi sul modus operandi della banda: “Si tratta di segnalazioni su una rete di complicità attraverso la quale i presunti responsabili si dedicavano a trovare persone con determinate caratteristiche, preferibilmente minorenni, per poi sequestrarli e portarli in case predisposte con installazioni sanitarie per il possibile espianto di organi”, ha detto Hugo Castellanos, il direttore della polizia locale.
Tra i maggiori esponenti degli attivisti per il sostegno dei diritti umani, che più volte avevano denunciato il traffico di organi, c’è il sacerdote Alejandro Solalinde, responsabile del rifugio Hermanos en el Camino nello stato di Oaxaca (sud del Paese). La sua reazione è piuttosto amara: “Sorpreso? No. Addolorato semmai. Terribilmente addolorato “. Questo il commento del sacerdote in un articolo di Lucia Capuzzi pubblicato su Avvenire, dove ancora scotta il ricordo della reazione degli agenti di fronte alle denunce del parroco: “Che fantasia, padre – dicevano –. È impossibile che i narcos possiedano la tecnologia necessaria per fare espianti clandestini” ha raccontato al quotidiano. Nel novembre 2013, padre Solalinde aveva denunciato il ritrovamento di un numero “scandaloso di cadaveri” di migranti completamente ‘svuotati’ a Mictla, nel Oaxaca. Dovrebbero essere alcuni delle migliaia di migranti clandestini che tentano di raggiungere il confine con gli USA, tra i quali vi sono numerosissimi minori non accompagnati.