L’UNIVERSITÀ LA SAPIENZA DI ROMA CONTINUA A LAVORARE IN LABORATORIO
– ANCONA – di Giampaolo Milzi –
Come e da chi venivano costruiti, come venivano utilizzati i 21 forni dell’eccezionale sito archeologico presso il Fosso della Fontanaccia a due passi da Portonovo di Ancona? A queste ed altre domande, conclusa la campagna di scavi, tenterà di rispondere l’equipe dell’Università “La Sapienza” di Roma. Che continua ad operare con attività di ricerca e analisi di laboratorio su un eterogeneo materiale. Rinvenuto a partire dai primi sondaggi effettuati nel lontano 1999 – su segnalazione dello storico anconetano Giuseppe Barbone e di altri cultori della Preistoria locale – e successivamente ampliati tra il 1999 e il 2006 sotto la direzione della dott.ssa Mara Silvestrini della Soprintendenza ai Beni archeologici delle Marche. Gli esperti de “La Sapienza” stanno lavorando alla realizzazione di una replica sperimentale di un forno tipo in 3D, in collaborazione con gli ingegneri del Dipartimento Dicea dell’Università Politecnica delle Marche. “Il fortunato ritrovamento di sei forni intatti ci ha già permesso di comprendere le modalità di costruzione – spiega la ricercatrice Cecilia Conati Barbaro de “La Sapienza” – Venivano scavati lungo il pendio collinare, a diverse quote. Le strutture sono allineate a piccoli gruppi su ampi avvallamenti, una disposizione che indica una precisa sequenza di operazioni tecniche. Per sostenere la volta in qualche caso veniva utilizzata un’intelaiatura di rami”. L’elevato numero dei forni lascia supporre che non fossero in uso contemporaneamente. “Erano fragili, facilmente soggetti all’erosione degli agenti atmosferici e alterabili dal calore del fuoco. Molto probabilmente, quindi, ne venivano costruiti di nuovi in sostituzione dei precedenti, abbandonati ma man nano che si rovinavano o crollavano”. Una volta dismessi, alcuni dei forni erano riutilizzati come luoghi di sepoltura e per riti legati alla sacralità del fuoco. Ciò secondo una fondata ipotesi di studio legata alla scoperta di quattro sepolture umane. I resti ossei di due individui di circa 30 anni e di un altro di oltre 55 erano stati rinvenuti deposti sulle basi di due forni durante i sondaggi del 2006. Due anni fa, in una zona all’aperto vicino alle strutture, il ritrovamento di una sepoltura ad incinerazione di una donna di 20 anni.
L’alta concentrazione di forni in un’area indagata di poco superiore ai 3 ettari, sembrerebbe costituire un impianto
esclusivamemte “industriale”. “Cioè utilizzato solo in alcuni periodi dell’anno da una o più comunità di agricoltori – sottolinea l’archeologa Conati Barbaro – Gruppi di agricoltori che coltivavano cereali e forse leguminose, e allevavano animali domestici”. Infatti, oltre alle cariossidi di cereali carbonizzate sono stati trovati resti ossei di pecora, maiale e bue, probabili residui dei pasti consumati vicino ai forni. Purtroppo, ad oggi, non vi è traccia tangibile nell’area del sito di quei gruppi di uomini primitivi stanziali, già dediti alla coltivazione, ma che non avevano abbandonato la caccia e la pesca, vista l’immediata vicinanza dei boschi del Conero, del mare e del corso d’acqua della Fontanaccia. L’equipe de “La Sapienza” spera di poter avviare una nuova fase della campagna di sondaggi proprio per riuscire a rintracciare l’abitato neolitico di riferimento. Inoltre, in collaborazione con gli enti locali, la Soprintendenza delle Marche, l’Univpm e l’ente Parco del Conero, di organizzare una mostra itinerante, e in prospettiva una struttura espositiva permanente in un ambiente al coperto (con frammenti di reperti, calchi e repliche sperimentali dei forni, pannelli illustrativi con foto e testi, strumentazioni multimediali) capaci di valorizzare per fini pubblico-divulgativi e turistici questa antropologica miniera d’oro.
(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)