di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)
Il grande sogno di Michele Vannucci ha le luci opache e spesso assenti della Roma periferica che abbiamo imparato a conoscere bene grazie agli ultimi lavori del cinema italiano.
Mirko ha 39 anni, da poco è uscito dal carcere, non sa come muoversi e organizzare la sua vita. L’ elezione a presidente del comitato di quartiere segna l’inizio di una nuova prospettiva per Mirko. Assieme all’amico Boccione, interpretato da Alessandro Borghi, cercherà di fare pulizia e “scattare” una nuova fotografia per lui e i numerosi disadattati che vivono la piazza.
L’angoscia circonda i personaggi di Il più grande sogno, quella sensazione di essere imprigionati per sempre in una realtà grigia e cinica.
È tangibile dalla scenografia, dalla musica ingombrante che comprime i pensieri l’affanno di Mirko, il peso del suo passato ed un futuro di speranze da disegnare: Mirko si impegna, rendere vivo il centro aggregativo del quartiere, spazzando via l’oblio e l’indifferenza, significa complicità e rinascita per sè e tante altre anime perse.
Vannucci mostra i conflitti, le difficoltà, le paure di cadere nella solita buca con un’ottica cupa e immediata, ricca di ombre e chiaroscuri perché la quotidianità è ancora un terreno minato da imparare a gestire e la gioia di costruire qualcosa di bello sembra solo un’illusione.
I dialoghi aggrovigliati, una comunicazione faticosa rendono fedele un racconto in cui un uomo lotta contro se stesso e il frastuono minaccioso del suo vissuto per mostrarsi capace di avere responsabilità e ottenere la fiducia delle persone amate.