di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)
The Shape of Water, di Guillermo del Toro, ha vinto il Leone d’Oro alla 74.Mostra del Cinema di Venezia
–Venezia 74-
Troppo spesso le nostre parole sono fiumi in piena che non conoscono dimora e vagano anonime come promesse o propositi privi di sincerità. Siamo capaci di amare senza dire niente, solo con gli occhi o con le nostre sensazioni?
E cosi che vive la Elisa di The Shape of Water, inserviente muta di un laboratorio governativo, nello scenario saturo e opaco dell’America al tempo della guerra fredda.
L’esistenza di Elisa si compone di medesime azioni quotidiane, impreziosite dal rapporto con un altrettanto solitario vicino di casa e con la collega Zelda.
In un contesto di lavoro freddo e monotono Elisa non rinuncia alla grazia con la quale osserva e sogna il mondo che vorrebbe. Nel suo cuore e nella sua testa musiche raffinate ne accompagnano ogni passo, ogni gesto, anche quando si tratta di pulire e lucidare pavimenti e bagni.
Tale visione incantata della realtà si scontra con sinistri esperimenti portati avanti nei sotterranei dell’agenzia governativa. Ed è qui che il mistero dell’acqua prende forma nell’immagine di una singolare creatura da usare per fini politici. Un mostro per chi come il capo della sicurezza Strickland, impersonato da un Michael Shannon che un anno dopo Animali Notturni torna al lido con una performance di rigore e ferocia, non riconosce l’altro e in ogni situazione ambisce a dominare senza alcun equilibrio.
La chimica istantanea tra Elisa e la creatura non conosce pregiudizi, né tentennamenti. In mezzo agli intrecci da noir e dalle atmosfere da monster-movie Guillermo del Toro lascia che predomini l’aspetto favolistico, una fiaba però credibilmente vera e genuina che sinuosa volteggia e si fa incontro spirituale oltre il silenzio delle voci di due esseri emarginati e candidi. La dolcezza e la sensualità con cui Sally Hawkins fa muovere il corpo di Elisa sono un flusso di libertà che rompe gli argini di uno scenario insito di blocchi mentali, apatia e oppressione culturale. La passione si esprime con un sesso, mai troppo esplicito né banale, evocato con sensibilità.
Tale fiamma di ardore e vitalità, a lungo schiacciata, si sublima nell’incanto e nel dolore, per poi consacrarsi in un nuovo inizio, dove l’abisso non è una prigione ma linfa vitale di una racconto che non conosce le parole bella o bestia ma solo il potere e il calore di un amore impossibile da catalogare o incatenare.