ANNIVERSARIO DELL’INIZIO DELL’INCHIESTA CHE TRAVOLSE L’ITALIA POLITICA
Esattamente venticinque anni fa si accendeva la miccia di “Mani pulite”, l’intensa stagione di inchieste e di scandali che infuocarono l’Italia e portarono alla fine della prima Repubblica. Il primo atto della bufera politica e giudiziaria di “Mani pulite” si ebbe con l’arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano (una casa di riposo per anziani) ed esponente di spicco del Psi milanese. L’ingegner Chiesa venne sorpreso dai carabinieri il 17 febbraio del 1992 nel suo ufficio subito dopo aver intascato la prima tranche di una mazzetta da 14 milioni di lire. A pagare Luca Magni, il proprietario di una piccola azienda di pulizie, l’Ilpi di Monza. Alle 22,16 di quello stesso giorno l’Ansa diffuse la notizia. E le parole, precisamente, furono queste: ”L’ingegner Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, una casa di riposo per anziani, e’ stato arrestato questa sera dai carabinieri con l’accusa di concussione. Lo hanno reso noto gli investigatori con un comunicato diramato in serata”. Il giorno seguente la notizia passò dalle televisioni alle pagine della cronaca locale, senza però fare troppo scalpore. Nessuno sapeva ancora che da quell’arresto sarebbe partita l’inchiesta più clamorosa e dirimente della storia d’Italia.
L’arresto di Chiesa. Luca Magni era stanco di pagare tangenti pari al 10% del valore degli appalti che riceveva e si era rivolto ai carabinieri per incastrare Chiesa. La trappola fu preparata nel dettaglio. Verso le 17.30 del 17 febbraio Magni fece il suo ingresso nell’ufficio di Mario Chiesa con una valigetta contenente una busta con 7 milioni di lire di banconote di vario taglio e una penna infilata nel taschino della giacca. In realtà si trattava di una microspia. Un volta consegnata la tangente, l’imprenditore fu subito bloccato dai carabinieri, che fecero irruzione nel suo ufficio. ”Questi soldi sono miei”, esclamò Chiesa. ”No, ingegnere, questi soldi sono nostri” replicarono pronti i carabinieri.
Allora Chiesa domandò di andare in bagno per cercare di gettare nella tazza del gabinetto un’altra mazzetta da 37 milioni di lire, ma non ci fu niente da fare. L’intervento era stato studiato con precisione e, tra l’altro, ogni dieci banconote una era stata firmata da un lato dal capitano dei carabinieri Roberto Zuliani e dall’altro dal sostituto procuratore Antonio Di Pietro, che in seguito commentò: ”Abbiamo preso l’ingegner Chiesa con le mani nella marmellata”. Di Pietro, su segnalazione di Magni, aveva organizzato l’operazione nel giorno in cui era di turno per essere sicuro che l’inchiesta fosse assegnata proprio a lui. Era l’uomo giusto. Con il collega Piercamillo Davigo aveva seguito anche altre inchieste sulle tangenti (come quella delle ‘Carceri d’oro’) e sapeva già molte cose sul conto di Mario Chiesa.
Craxi e gli sviluppi. Nei giorni seguenti all’arresto, Bettino Craxi, segretario del Psi, definì Mario Chiesa: ”un mariuolo che getta un’ombra su tutta l’immagine di un partito”. L’ex sindaco di Milano Carlo Tognoli affermò: ”Appare strano che le pecore nere vengano individuate solo nel Psi”. Bobo Craxi, figlio di Bettino, eletto in consiglio comunale a Milano proprio grazie ai voti di Chiesa, fu ancora più duro e commentò: ”Mario Chiesa è un mascalzone. Idiota, poi, a farsi prendere con le mani nel sacco”. Di Pietro fece arrivare tempestivamente queste dichiarazioni a Chiesa, nel frattempo rinchiuso a San Vittore, e lo informò di avere sentito la moglie (con la quale era in atto una dura causa di divorzio), che gli fece recapitare un messaggio solo apparentemente criptico: ”L’acqua minerale e’ finita”. Il presidente della Baggina capì immediatamente che la Procura aveva scoperto i suoi conti in Svizzera: “Fiuggi”, “Levissima” e “Ferrarelle”. A questo punto Chiesa, sentendosi abbandonato da tutti, e in particolare dal partito, decise di parlare per non essere il capro espiatorio di un sistema più grande di lui. Raccontò a Di Pietro che negli anni aveva ricevuto altro denaro e che rispondeva ”politicamente direttamente solo al segretario del partito, Bettino Craxi”. Fu una confessione che durò molti giorni: descrisse il “sistema Milano” – un sistema in cui la tangente era diventata una specie di “tassa”, di cui beneficiavano molti partiti, richiesta nella gran parte degli appalti – e fece i nomi dei massimi dirigenti del Psi e della Dc milanese e lombarda coinvolgendo, in relazione ad alcuni appalti, anche politici dell’ex Pci. Il 6 aprile, dopo le elezioni che sancirono la sconfitta del Caf (l’alleanza Craxi, Adreotti e Forlani) e l’affermazione della Lega al nord (che aveva sfruttato l’indignazione popolare per catturare voti) partirono le primissime informazioni di garanzia. Il 22 aprile furono compiuti i primi arresti agli imprenditori e ai politici. Il Paese era pervaso dalla tensione e le accuse e le confessioni si diffusero a macchia d’olio. I politici più influenti abbandonavano quelli meno influenti che venivano arrestati e, nel rancore, ne accusavano degli altri. Fu anche la stagione dei suicidi, tanti. Il 2 settembre 1992, il politico socialista Sergio Moroni prima di togliersi la vita scrisse una lettera in cui si dichiarava colpevole sottolineando, però, che i crimini commessi non erano finalizzati al proprio tornaconto ma andavano a beneficio del partito, e accusò il sistema di finanziamento di tutti i partiti. Da parte sua, Bettino Craxi, molto legato a Moroni, si scagliò contro stampa e la magistratura denunciando la creazione di un “clima infame”. Il resto, si può dire, è storia. Mario Chiesa, la miccia di Mani pulite, venne condannato a 5 anni e 4 mesi e restituì sei miliardi di lire. Otto anni e mezzo dopo, nell’agosto del 2000, uscì definitivamente dal turbine di Tangentopoli, dopo essersi occupato presso i servizi sociali di assistenza ai disabili. Poi il 31 marzo 2009 un altro arresto, sempre per tangenti e per un traffico di rifiuti. Per questi reati Chiesa ha patteggiato tre anni di reclusione.
(La Redazione)