CRITICITÀ COSTITUZIONALI DEL REATO PREVISTO DALL’ART. 10-BIS D.LGS. 286/98
di Avv. Marusca Rossetti
Il 21 gennaio è passato al Senato il ddl sulla depenalizzazione e la messa alla prova.
In un provvedimento decisamente complesso e molto articolato che prevede, tra l’altro, la delega al governo per ridisegnare l’intero sistema delle pene in Italia, prevedendo anche per gli adulti l’istituto della messa alla prova, la norma che spicca maggiormente, attirando su di sé consensi da una parte e proteste dall’altra, è quella che prevede che l’immigrazione clandestina non sia più reato e torni ad essere un illecito amministrativo. Mentre si parlerà nuovamente di reato in caso di recidiva.
Ciò significa che chi per la prima volta entrerà in Italia clandestinamente non verrà più sottoposto a procedimento penale, ma semplicemente espulso.
Se però dovesse cimentarsi nuovamente nell’impresa, allora in quel caso commetterebbe reato. Da precisare che tutte le altre condotte che violano provvedimenti amministrativi adottati in materia conserveranno rilievo penale, ovvero manterranno la loro qualifica di reato tutte le altre fattispecie come quella, ad esempio, di aver ignorato l’obbligo di rimpatrio.
Il reato di immigrazione clandestina, inserito per la prima volta nel nostro ordinamento con la L.94/2009, cd. pacchetto sicurezza, è stato fortemente criticato sin dal momento della sua istituzione perché ritenuta criminalizzante “mere condizioni personali”, apparendo incostituzionale per diversi motivi.
Introdotta dall’art. 1 della legge citata, la nuova fattispecie di reato, prevista dall’art. 10-bis del D.lgs. 286/98(Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero-TUIM-) sanziona con l’ammenda da € 5.000,00 a € 10.000,00, trattandosi non già di delitto bensì di contravvenzione, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, “lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’art. 1 della L.68/2007”(concernente l’ingresso ed i soggiorni brevi).
Quindi con l’art. 10-bis sono divenuti meritevoli di sanzione penale non più soltanto coloro che con diverse modalità di azione agevolino o favoriscano l’ingresso o la permanenza dello straniero in violazione delle previsioni di legge, ma anche gli stranieri in quanto tali.
Questa scelta del legislatore ha innanzitutto posto la questione di un possibile contrasto con i principi di cui all’art. 3 e 25 co. 2 Cost. in ragione del fatto che il disvalore su cui si basa la pena sembra essere incentrato più che sulla condotta materiale tenuta dal soggetto, sulla sua condizione personale consistente nel mancato possesso di un titolo abilitativo all’ingresso e alla permanenza nel territorio dello Stato.
La realizzazione della contravvenzione può avvenire attraverso due condotte alternative: quella dell’ingresso e quella del trattenimento illegale nel territorio dello Stato.
Entrambe le condotte, presupponendo la qualifica di straniero in capo al soggetto attivo, qualificano la contravvenzione come reato proprio. Per quanto attiene alla prima, in particolare, stando alla descrizione del fatto tipico data dalla norma, il reato si qualifica come istantaneo perché si configura nel momento e nel luogo di realizzazione dell’attraversamento dei confini territoriali.
Invece per quanto riguarda la seconda modalità di realizzazione della contravvenzione, questa è data dal trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato in violazione della normativa vigente. Si tratta di reato omissivo proprio, in quanto il disvalore del fatto, qui, si incentra non sull’agire, ma sul non essersi il soggetto allontanato dal territorio nazionale. E questo aspetto sembra andare a cozzare con il principio di responsabilità penale personale e colpevole(art. 27 Cost).
La condizione di permanenza irregolare, infatti, ben può sfuggire alla sfera di controllo e di responsabilità dello straniero perché può essere conseguenza di situazioni a lui estranee, come nel caso in cui perdere il lavoro incide sulla conservazione del titolo di soggiorno. Inoltre, non avendo la norma previsto un termine entro il quale lo straniero si possa regolarizzare, questi è penalmente responsabile nonostante l’impossibilità di conformarsi alla regola di condotta prescritta.
Un altro profilo che ha suscitato profonde riserve in relazione al rispetto del principio di personalità della responsabilità penale, è stato quello del mancato richiamo nella fattispecie di cui all’art. 10-bis, ai fini della esclusione della responsabilità stessa, di tutte quelle situazioni che rendono inesigibile il rispetto della regola di condotta.
Analogalmente, molto si è discusso anche in ordine alla presunta violazione dei principi di materialità ed offensività desumibili dall’art. 25 co. 2 Cost.
Tuttavia proprio i giudici costituzionali, che nel 2007 con la Sentenza n. 78 hanno espressamente affermato essere in contrasto con i principi costituzionali una normativa penale “collegata in modo automatico ad una condizione soggettiva che, di per sé, non è univocamente sintomatica di una particolare pericolosità sociale”, con la pronuncia n. 250 del 2010 hanno precisato che l’art.10-bis, in realtà, non sanzionerebbe un mero stato soggettivo, quello di straniero “irregolare”, del quale verrebbe presunta in via assoluta la pericolosità sociale, ma la specifica condotta di ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato. Dunque non si tratterebbe di illecito di mera disobbedienza, non offensivo di alcun bene giuridico meritevole di tutela, essendo invece il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice identificabile “nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori”, strumentale alla salvaguardia di tutta un’altra serie di beni pubblici di rilievo costituzionale quali la sicurezza e l’ordine pubblico, la sanità pubblica, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in materia di immigrazione, suscettivi di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata e pertanto offendibili dalle condotte di ingresso e trattenimento illegale dello straniero.
Nonostante questa battuta d’arresto la norma di cui si discute ha continuato ad essere nel centro del mirino di molti giuristi e ne sono una prova le innumerevoli questioni di illegittimità costituzionale delle quali la Corte é stata investita nel corso degli anni, segno tangibile che ha continuato nel tempo a non convincere gli addetti ai lavori.
Quindi, che si voglia esultare o piuttosto criticare questo ddl, resta comunque che un passo in avanti verso il superamento del reato di clandestinità è stato compiuto anche se, ancora, non è detta l’ultima parola.
Tuttavia ci si può non chiedere anche in questa occasione cosa farà Alfano a questo punto e come affronterà il suo elettorato, posto che, alcuni giorni fa, aveva minacciato di lasciare il governo se in Parlamento si fosse votata l’abolizione del reato di clandestinità, cosa che l’aula del Senato ha fatto.
E allora, adesso, come la mettiamo?