Questa non sarà la solita recensione di un libro o il commento sulla vicenda giudiziaria di Stefano Cucchi piuttosto sarà il racconto dell’”incontro” con un libro che ha saputo emozionarmi, commuovermi ed indignarmi come nessun’altro.
Ho sempre amato leggere e tra i tanti libri che mi hanno fatto compagnia in questi anni ci sono stati quelli che sono stati capaci di regalarmi emozioni, quelli che sono stati capaci di farmi riflettere, ci sono stati alcuni che non mi sono piaciuti ed altri che mi hanno saputo travolgere nell’arco di una notte, altri ancora che mi hanno fatto compagnia nel tempo.
Mai però un libro era stato capace di farmi commuovere. Mai, fino a qualche giorno fa.
Adoro passare del tempo nelle librerie, quelle in cui puoi girare ed intrattenerti a sfogliare tutto ciò che vuoi; in una domenica d’inverno come tante entro in una di queste e come al solito mi dirigo subito verso la zona dedicata alle biografie. E’ il mio genere preferito ormai da anni, leggere biografie o autobiografie ha un fascino che non ho saputo trovare in altri generi. E proprio mentre sono lì tra biografia e attualità, mi colpisce la copertina quasi nascosta di un libro con il sorriso di due ragazzi impresso nella copertina colorata. Il libro si intitola “Vorrei dirti che non eri solo- Storia di Stefano mio fratello” scritto da Ilaria Cucchi con la collaborazione del giornalista e scrittore Giovanni Bianconi.
Capisco che si tratta di un libro scritto dalla sorella di Stefano Cucchi, giovane romano arrestato dai Carabinieri per detenzione di sostanza stupefacente il 15 ottobre 2009 e poi morto il 22 ottobre 2009 all’Ospedale Pertini dopo alcuni giorni di detenzione nel carcere di Regina Coeli.
Conosco la storia, come non conoscerla, se ne è parlato tanto ma non sapevo che Ilaria Cucchi avesse scritto un libro sulla vicenda e su suo fratello.
Allora, come faccio spesso, anzi sempre, apro il libro ed inizio a sfogliarne e a leggerne alcune pagine, senza un ordine o una logica, così a caso come a cercare quel segno che mi spinga a leggerlo per intero.
E sono proprio alcune di queste pagine che riescono a commuovermi.
E’ una sensazione difficile da descrivere, ciò che so dire è che, mentre mi trovo lì in mezzo a tanta gente in un pomeriggio come tanti, non riesco a trattenere l’emozione.
Ilaria in quelle pagine racconta il giorno in cui ottiene il permesso, dopo un lungo lottare fatto di burocrazia e di burocrati, di vedere Stefano insieme ai suoi genitori. Ma ciò che ottengono è il permesso di vedere il cadavere di Stefano, chiuso in una teca di vetro all’interno dell’obitorio dell’ospedale Pertini di Roma.
Ilaria inizialmente non ha il coraggio per entrare, quel coraggio che forse si può trovare solo scavando nel profondo dell’amore di una sorella per la volontà di vedere un fratello almeno per l’ultima volta, invece i suoi genitori sì, vogliono vederlo subito. Ma saranno proprio le loro urla strazianti di dolore e rabbia che convincono Ilaria ad entrare, le grida di un padre ed una madre che non solo piangono un figlio morto prematuramente ma piangono per ciò che vedono.
“(…) Gridavano frasi difficilmente comprensibili, sentivo mio padre ripetere : “Oddio, Oddio!”, e mia madre che tra i singhiozzi chiedeva a ripetizione “Che cosa gli hanno fatto?” (…) Ho afferrato quel po’ di coraggio che ancora mi sorreggeva ed ho varcato la porta. Stefano era disteso su una barella, protetto da una teca di vetro, , ma se non avessi saputo che era lui difficilmente l’avrei riconosciuto. Uno spettacolo tremendo. Aveva il volto scuro quasi nero quasi che fosse bruciato, e incavato fino alle ossa. Poco più di un teschio (…) Aveva una macchia sotto lo zigomo destro, mai vista prima, la mandibola storta , un bozzo enorme sotto il sopracciglio sinistro; e poi gli occhi sembravano usciti dall’orbita, il destro pesto e incassato verso l’interno”.
Queste parole e le immagini che riescono a descrivere sono cosi drammaticamente forti che decido di comprare il libro, devo assolutamente leggerlo.
Nelle due notti in cui finisco di leggerlo scopro che in quelle pagine scorre il racconto di una famiglia e soprattutto di una sorella che, con la semplicità e la forza dei sentimenti, ripercorre passo dopo passo, tra tantissimi punti interrogativi, quelli che sono stati per Stefano gli ultimi giorni della sua breve e difficile vita, dall’arresto alla notizia della sua morte che arriva alla famiglia Cucchi nel modo peggiore ossia attraverso l’asettica notifica del decreto di nomina di un consulente per svolgere “accertamenti urgenti non ripetibili” sulla salma di Stefano. Parole tecniche, quasi incomprensibili dietro alle quali si cela un significato terribile: Stefano Cucchi è morto ed è necessario lo svolgimento dell’autopsia sul suo cadavere .
Scopro che il libro parallelamente ripercorre la vita di Stefano, trascorsa in una famiglia normale, come tante, circondato da persone che l’hanno sempre amato ma che non sono riuscite comunque a salvarlo da se stesso e dal buio della tossicodipendenza in cui Stefano più volte si è ritrovato, con cadute e riprese continue fino all’ultimo arresto per possesso di sostanze stupefacenti.
Ilaria Cucchi decide di mettere a nudo completamente suo fratello, non nasconde ciò che è stato ed i problemi che ha avuto ed ha portato all’interno della famiglia, non lo giustifica anzi a volte è molto dura nei suoi confronti ma si capisce che è quella durezza che si può avere soltanto quando si ama così tanto qualcuno che non si può accettare che butti via e calpesti la propria vita.
Il racconto è di una sincerità disarmante come è disarmante leggere della piena fiducia di Ilaria e della sua famiglia nelle Istituzioni e nella Giustizia, nonostante tutto.
Sì, NONOSTANTE la morte di Stefano rimanga piena di tanti dubbi e domande che un processo penale a carico di numerosi imputati sta cercando di chiarire, NONOSTANTE la morte di Stefano sia avvenuta quando era affidato nelle mani dello Stato, quello stesso Stato in ci ancora Ilaria crede e lo afferma con forza, NONOSTANTE la burocrazia abbia frapposto decine di ostacoli tra lei e suo fratello ed abbia deciso che non ci fosse altro modo per far conoscere a una famiglia la morte di un figlio e di un fratello se non attraverso la notifica di un atto giudiziario, NONOSTANTE Stefano chiedesse di parlare con il proprio avvocato e non gli fosse concesso, nonostante Ilaria Cucchi ed i suoi genitori chiedessero di parlare con Stefano e non fosse loro concesso, NONOSTANTE Ilaria ed i suoi genitori chiedessero delle condizioni di salute di Stefano e nulla fosse loro detto, NONOSTANTE le condizioni in cui la famiglia Cucchi hanno trovato il corpo di Stefano.
Ho voluto cercare queste immagini su internet, pensavo non ci fossero ma invece ci sono in tutta la loro durezza che lascia senza parole. Davvero senza parole.
NONOSTANTE tutto questo, nel libro non si manifestano sentimenti di ostilità e condanna nei confronti delle istituzioni ma un affidamento completo ad esse perché possano dare risposte certe a tutte quelle domande che la famiglia di Stefano Cucchi si è posta in quei lunghissimi giorni tra il 15 e 22 ottobre 2009 ed in tutti i mesi ed anni successivi.
A queste domande risponderà il processo che si sta celebrando a Roma a carico di tredici persone tra guardie carcerarie, medici ed infermieri, imputate a vario titolo di lesioni, abuso d’autorità, favoreggiamento, abbandono di incapace, abuso d’ufficio, falso ideologico (si veda anche l’articolo da noi pubblicato al link https://www.fattodiritto.it/caso-cucchi-mostrato-un-video-chiave-al-processo/).
Da cittadina italiana e da avvocato credo che è in quella sede che dovrà essere cercata e data giustizia a Stefano Cucchi, alla sua famiglia e a tutti coloro che in qualche modo sono stati traditi, ma non dalle Istituzioni piuttosto da qualcuno all’interno di esse che per questo, accertate le responsabilità, non possono e debbono più rappresentarle e per le quali quelle stesse Istituzioni dovrebbero indignarsi.
Ho deciso di parlare di questo libro perchè ha saputo lasciarmi per giorni e tutt’ora qualcosa su cui riflettere; posso dire che non avrei mai voluto leggerlo perché non avrei mai voluto che in uno Stato civile come il nostro ci fossero una sorella, un padre ed una madre soli davanti al cadavere di un proprio caro, soli con tante domande, forse troppe.
AVV. VALENTINA COPPARONI